Viviamo in un’epoca in cui il tempo è scarso e l’attenzione ancora di più.

La paura è un’emozione che conosciamo tutti.

Nel lavoro — e nella vita — non credo nei colpi di fortuna.

Ci sono persone che parlano con leggerezza.

Quando pensiamo alla leadership, l’immagine che ci viene in mente è spesso quella di una figura carismatica, capace di motivare le folle con discorsi potenti e presenza scenica.

Ci sono giorni in cui non serve nessun grande evento per capire quanto la nostra mente sia un luogo complesso.

Nella corsa frenetica delle nostre giornate, siamo spesso portati a concentrare tutta la nostra attenzione sui grandi traguardi: il progetto che deve chiudersi, l’obiettivo annuale, il risultato che “fa la differenza”.

E chi non l’ha capito, non ha mai dovuto tenere in piedi niente che contasse davvero.

La solitudine non è un difetto da curare ma una leva da progettare. Se la gestisci in modo strategico, diventa un vantaggio competitivo: ti fa decidere meglio, taglia il rumore, rafforza il tuo standard e costruisce un’identità aziendale più netta.

Ci sono persone che si allenano il fisico.

Nella mia vita ho imparato questo: non importa quante persone ti stanno attorno, importa quante resterebbero se tu non avessi più niente da dare.

Non mi sono “ripreso”.