C’è una cosa che molti non capiscono:
la mia identità non è nata dal caso, né dagli altri, né dalle loro opinioni.
La mia identità me la sono costruita pezzo per pezzo, mattone dopo mattone, come una struttura che non dipende dal vento.
È architettura, non improvvisazione.
La maggior parte delle persone è una somma di influenze:
chi gli ha detto cosa, come sono cresciuti, cosa hanno subito.
Io no.
Io ho preso tutto quello che la vita mi ha lanciato addosso — il buio, le ferite, il caos — e ci ho costruito una personalità che non si piega e non si negozia.
Non sono il risultato delle mie cicatrici.
Sono il risultato del modo in cui ho scelto di usarle.
C’è chi si adegua.
Io mi definisco.
C’è chi reagisce.
Io progetto.
C’è chi si plasma sugli altri.
Io mi sono scolpito da solo.
La mia identità psicologica non è stata “donata” da nessuno:
l’ho fabbricata, allenata, rifinita.
E quando costruisci te stesso con le tue mani, nessuno può smontarti.
Possono provarci, possono parlare, possono inventare storie…
ma non possono cambiare la struttura, perché la struttura l’ho progettata io.
Io non mi adeguo all’ambiente.
Mi adatto senza perdere forma.
Io non cerco approvazione.
Mi allineo solo a ciò che è coerente con la mia visione.
Io non prendo identità dagli altri.
La creo.
E la verità è semplice:
chi costruisce se stesso non teme chi giudica.
Teme solo di tradire la propria architettura interna.
E io quella non la tradirò mai.
La mia identità non è il mio passato.
Non è la mia famiglia.
Non è la mia città.
Non è ciò che è successo.
La mia identità è ciò che ho scelto consapevolmente di essere.
E continuerà ad evolversi, perché chi costruisce non si ferma: aggiorna, migliora, rafforza.
La mia identità psicologica è un’opera viva.
E appartiene solo a me.