Ci sono strumenti che parlano, e strumenti che comandano.
Il sax canta, il beat impone.
Sono due nature opposte, due universi che non dovrebbero incontrarsi…
e invece, nelle mie mani, diventano una guerra chiusa con un solo vincitore: la mia visione.
Il sax ha il respiro dell’anima: vibra, soffia, chiama.
Il beat è la disciplina: scandisce, ordina, colpisce.
Il primo è emozione pura, il secondo è architettura sonora.
E quando li metto insieme, non sto “mixando”: sto negoziando tra due mondi che storicamente si ignorano, e li costringo a collaborare come due generali sotto lo stesso stendardo.
Perché il punto è questo:
io non seguo i generi, li piego.
La mia musica nasce dalla strada, dal trauma, dall’osservazione, ma soprattutto dal controllo assoluto.
Ogni volta che un sax entra nei miei beat, non è per fare l’effetto carino:
è per dimostrare che posso trasformare un suono dolce in un’arma elegante.
È strategia pura: unire la nostalgia dello strumento acustico con l’arroganza digitale del beat.
E funziona.
Perché quando qualcosa è guidato dal mio istinto, non è più una scelta musicale: è una dichiarazione di potere.
E alla fine, la guerra tra i due mondi si chiude così:
non c’è un vincitore…
se non il risultato finale.
Il mio.